IL TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa iscritta al n. 19
 del ruolo dell'anno 1992, promossa  dalla  societa'  "Impresa  Borghi
 S.r.l.",  con  sede  in  Mantova, in persona del sig. Giorgio Borghi,
 rappresentata e difesa in giudizio dagli avv.ti Valerio Onida, Cesare
 Nicolini e Alberto Accordi e domiciliata in Roma, largo della Gancia,
 1, presso lo studio dell'avvocato Gualtiero Rueca, contro i Ministeri
 delle finanze e dei lavori pubblici,  in  giudizio  con  l'avvocatura
 generale dello Stato, per l'annullamento:
      1) del decreto 19 gennaio 1991, n. 32105, del magistrato del Po,
 ufficio operativo di Mantova;
      2) del decreto 10 settembre 1991 n. 32109 dello stesso ufficio;
      3)  degli  avvisi  di  liquidazione  emessi  il 25 novembre 1991
 dall'ufficio del registro di Mantova in conseguenza dei decreti sopra
 indicati;
      4)  del  decreto  del  Ministro  delle  finanze  20 luglio 1990,
 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 10 ottobre 1990,  n.  237,  nella
 parte  in cui stabilisce i criteri per la rideterminazione dei canoni
 di concessione per l'estrazione  di  materiali  dall'alveo  di  corsi
 d'acqua;
      5)  delle  autorizzazioni  provvisorie rilasciate dal magistrato
 del Po il 13 settembre 1988, il 12 aprile 1989
 e l'8 febbraio 1990, nella parte in cui si fa riserva di  determinare
 un canone demaniale per il materiale estratto.
                        IN FATTO ED IN DIRITTO
    In  data  odierna il tribunale superiore delle acque pubbliche, ha
 reso, fra le parti in epigrafe  indicate,  la  sentenza  che  qui  di
 seguito integralmente si trascrive.
                              "F A T T O
    La  societa'  ricorrente  estrae materiale limo-sabbioso dal greto
 del fiume Po dal 1988 in  forza  di  concessioni  onerose,  le  quali
 vengono  rilasciate  dal  magistrato  del  Po dapprima sotto forma di
 'autorizzazioni provvisorie' per un quantitativo massimo, e poi,  una
 volta  conosciuti  sia il quantitativo estratto nell'anno solare, sia
 la  determinazione  unitaria   del   corrispettivo   di   concessione
 effettuata   dall'amministrazione   finanziaria,   sotto   forma   di
 'concessione  a  sanatoria'   con   determinazione   definitiva   del
 corrispettivo  dovuto.  Per  l'anno  1989, il corrispettivo era stato
 determinato in L. 1300 al metro cubo; per l'anno 1990, la  ricorrente
 e'  stata  autorizzata  ad  estrarre  fino  a  120.000  metri cubi di
 materiale limo sabbioso nei comuni di Ostiglia e Pieve di Coriano con
 autorizzazione provvisoria 8  febbraio  1990,  n.  746,  dell'ufficio
 operativo  di  Mantova  del  magistrato  del  Po;  individuata poi la
 quantita'  di  materiale  estratto,   il   corrispettivo   e'   stato
 determianto con decreti 19 marzo 1991, n. 32109, e 10 settembre 1991,
 n.  32109,  rispettivamente il L. 441.600.000 (L. 4.800 al metro cubo
 per 92.000 metri  cubi)  per  il  periodo  gennaio-luglio,  e  in  L.
 333.600.000  (L.  4.800  al  metro  cubo per 69.500 metri cubi). Era,
 infatti, intervenuto il decreto dei  Ministri  delle  finanze  e  del
 tesoro 20 luglio 1990, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 10 ottobre
 1990,  n. 237, il cui art. 2 aveva determinato, con decorrenza dall'1
 gennaio  1990,  i  canoni  'annui'  per  l'estrazione  di   materiali
 dall'alveo di corsi d'acqua, fissando un minimo di L. 4.800 per metro
 cubo  di materiale estratto. Il decreto ministeriale, a sua volta, e'
 stato emanato in forza dell'art.  12,  quinto  comma,  del  d.l.  27
 aprile  1990,  n.  900 (in Gazzetta Ufficiale 30 aprile 1990, n. 99),
 convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165 (in Gazzetta  Ufficiale
 28  giugno  1990,  n.  149),  del  seguente  tenore: 'Con decreto del
 Ministro delle finanze di concerto con il  Ministro  del  tesoro,  da
 emanare  entro  settanta  giorni  dalla data di entrata in vigore del
 presente decreto, sono stabiliti i criteri per la rideterminazione, a
 decorrere dall'anno 1990, dei canoni, proventi, diritti  erariali  ed
 indennizzi  comunque dovuti per l'utilizzazione dei beni immobili del
 demanio o del patrimonio indisponibile e disponibile dello  Stato  al
 fine  di  aumentarli fino al sestuplo, se derivanti dall'applicazione
 di tariffe o misure stabilite in virtu'  di  leggi  anteriori  al  1›
 gennaio 1982 o da atti e situazioni di fatto posti in essere prima di
 tale data, ovvero al fine di aumentarli fino al quadruplo se riferiti
 a date successive'.
    La   societa'   Borghi,   che   ha   avuto  notizia  dei  suddetti
 provvedimenti di determinazione definitiva  del  corrispettivo  dagli
 avvisi  di  liquidazione  emessi dall'ufficio del registro di Mantova
 sulla base dei provvedimenti stessi e  notificabile  il  25  novembre
 1991,  li  ha  impugnati  con  il  presente ricorso, notificato il 23
 gennaio 1992 e contenente citazione per l'udienza del 9  marzo  1992,
 per i seguenti motivi:
      1)  (riferito ai provvedimenti del magistrato del Po) violazione
 e falsa applicazione degli artt. 93 e 97, (primo comma, lett. m), del
 r.d. 25 luglio 1904, n. 523, che subordinano l'estrazione di sabbia o
 altri materiali dall'alveo di  fiumi,  torrenti,  rivi,  scolatori  e
 canali   demaniali   solamente   ad   un   'permesso'  dell'autorita'
 amministrativa, senza  far  cenno  alla  imposizione  di  prestazioni
 economiche ai privati interessati;
      2)  (riferito  all'art.  2 del d.m. 20 luglio 1990) violazione e
 falsa applicazione degli artt. 12, quinto comma, del d.l. 27  aprile
 1990,  n.  90,  convertito  nella  legge  26  giugno  1990, n. 165, e
 violazione  dell'art.   23   della   Costituzione,   in   quanto   la
 determinazione    dei    canoni,    effettuata   dalla   disposizione
 regolamentare, non trova  fondamento  nella  citata  disposizione  di
 legge,  che  si limita a prevedere che con decreto ministeriale siano
 fissati, in via generale,  'i  criteri  per  la  rideterminazione,  a
 decorrere   dall'anno  1990,  dei  canoni,  proventi  ecc.';  il  che
 significa che deve sussistere, in base ad altra diversa e  precedente
 fonte   normativa,   il   potere   dell'autorita'  amministrativa  di
 determinare essa stessa il canone o il diritto in questione;
      3) (riferimento all'art.  2  del  decreto  ministeriale)  ancora
 violazione e falsa applicazione dell'art. 12, quinto comma, del d.l.
 27 aprile 1990, n. 90, convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165,
 e  violazione  dell'art. 23 della Costituzione, in quanto il Ministro
 non si e' limitato a stabilire i criteri per la rideterminazione  dei
 canoni,  ma  ha  operato  direttamente  aumenti  in  misura fissa, in
 particolare con il secondo comma, che, al di fuori di ogni previsione
 di legge, ha  fissato  un  canone  minimo  per  ogni  metro  cubo  di
 materiale estratto;
      4)  (riferito  all'art.  2  del decreto ministeriale) eccesso di
 potere per illogicita', ingiustizia manifesta e difetto  assoluto  di
 motivazione, in quanto la determinazione degli aumenti automatici, in
 misura  fissa, per ogni bene rientrante nella categoria, elimina ogni
 possibilita' di graduazione dei canoni  in  regime  delle  specifiche
 caratteristiche dei singoli beni concessi in godimento);
      5)   (riferito   al   decreto  ministeriale)  ancora  violazione
 dell'art. 12,  quinto  comma,  del  d.l.  27  aprile  1990,  n.  90,
 convertito  nella  legge 26 giugno 1990, n. 165, e degli artt. 3 e 53
 della Costituzione, nonche' eccesso  di  potere  per  illogicita'  ed
 ingiustizia   manifesta,   in   quanto   viene  disposto  un  aumento
 retroattivo dal 1› gennaio 1990, relativamente, quindi,  a  materiali
 gia'  estratti  e commercializzati (sulla base dei 'canoni' demaniali
 precedentemente richiesti); laddove l'indicazione  legislativa  della
 decorrenza  'a  partire  dal  1990',  senza ulteriore specificazione,
 andava intesa nel senso  che  gli  aumenti  avrebbero  dovuto  essere
 richiesti  dalla  data  di  adozione dei provvedimenti applicativi da
 emanare nel corso dell'anno 1990, e quindi per il futuro.
    La  ricorrente  ha  poi  eccepito,  per  il caso che si ritenga la
 retroattivita'   consentia   dall'art.   12   del    d.l.    citato,
 l'illegittimita'  costituzionale  della stessa disposizione di legge,
 per violazione degli artt. 3 e 53 della costituzione.
    Le amministrazioni delle finanze e dei  lavori  pubblici  si  sono
 costituite  in  giudizio  eccependo  la  carenza  di giurisdizione in
 quanto la controversia, relativa a  canoni  di  concessione  di  beni
 pubblici,  apparterrebbe,  ai sensi dell'art. 5, secondo comma, della
 legge  6  dicembre  1971,  n.  1034,  sui  tribunali   amministrativi
 regionali,  alla  cognizione  del  tribunale  regionale  delle  acque
 pubbliche.
    L'udienza di discussione, fissata per il 26 ottobre 1992, e' stata
 rinviata, per impedimento dell'ufficio, al 1› febbraio 1993.
                             D I R I T T O
    L'eccezione  di  difetto   di   giurisdizione,   formulata   dalle
 amministrazioni  resistenti  e'  infondata, in quanto la controversia
 non concerne i canoni di concessione  di  un  bene  pubblico  in  se'
 considerati,  bensi' i provvedimenti amministrativi di determinazione
 dei canoni per l'uso di beni del  demanio  idrico,  e  rietra  quindi
 nella  giurisdizione  amministrativa  del  tribunale  superiore delle
 acque pubbliche in unico grado, ai sensi dell'art. 143, primo  comma,
 lett.  a)  del  testo  unico delle leggi sulle acque e sugli impianti
 elettrici approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775.
    Con il primo motivo di ricorso, vengono censurati i  provvedimenti
 del magistrato del Po che, nel concedere il permesso per l'estrazione
 di  sabbia  dall'alveo  del  fiume  Po,  avrebbe  imposto  un  canone
 concessionario al di fuori di ogni previsione  normativa.  La  stessa
 ricorrente  peraltro,  con  i successivi motivi di ricorso, riconosce
 che  l'onerosita'  dell'estrazione  dei  materiali  in  questione  e'
 prevista  dal  decreto  ministeriale  impugnato,  sicche' la censura,
 riferita ai provvedimenti del magistrato del Po, che appunto  trovano
 fondamento ormai nell'art. 2, secondo comma, del decreto dei Ministri
 delle   finanze  e  dei  lavori  pubblici  20  luglio  1990,  oggetto
 d'impugnazione non e' fondata.
    Anche il secondo motivo, che e'  riferito  alla  disposizione  del
 regolamento  ministeriale  impugnato,  non  e'  fondata;  sostiene la
 ricorrente che non sarebbe consentito all'autorita' amministrativa di
 subordinare il permesso di estrazione  di  materiali  dall'alveo  dei
 fiumi  al  pagamento  di un corrispettivo, non essendo, quest'ultimo,
 previsto da nessuna disposizione  di  legge.  Senonche'  l'onerosita'
 dell'uso speciale di beni pubblici, consistente in una utilita' dello
 stesso concessionario, il quale, nella specie, e' un imprenditore che
 destina  i  beni prelevati alla proprieta' attivita' d'impresa (e' un
 principio generale, del quale l'art. 12, quinto comma, del  d.l.  27
 aprile  1990,  n.  90,  convertito nella legge 26 giugno 1990, n. 165
 (che si riferisce proprio ai casi in cui e i canoni per l'uso di beni
 demaniali non siano previsti direttamente  dalla  legge)  costituisce
 ricognizione;   piu'  generalmente  ancora,  la  concessione  di  uso
 speciale  dei  beni  demaniali  nell'interesse   del   concessionario
 costituisce  un negozio sinallagmatico, per cui e' del tutto naturale
 che l'autorita' amministrativa,  preposta  alla  gestione  dei  beni,
 richieda  un  corrispettivo;  semmai  la ricorrente avrebbe motivo di
 dolersi del sistema  di  determinazione  ex  post  del  corrispettivo
 stesso, ma non della corrispettivita' in se stessa considerata.
    L'esame   degli   altri   motivi  impinge,  in  due  questioni  di
 costituzionalia',  che  verranno  rilevate  con  separata  ordinanza;
 questa   comporta   la  sospensione  del  giudizio  e,  pertanto,  la
 statuizione  sui   rimanenti   motivi   di   impugnazione   dell'atto
 amministrativo  e  quella  sulle  spese  vanno  rimesse  al  giudizio
 definitivo.